Soul: l’ultimo film Pixar

La Pixar ha perso da anni il primato di miglior casa d’animazione americana. Esistono lì fuori produttori di cartoni più divertenti e tecnicamente più impressionanti. Ma, mi spiace, quando si tratta di esprimere concetti che espandono la mente e ci portino a indagini esistenziali, la Pixar ancora non ha rivali: esamina le emozioni (Inside Out), la creatività (Ratatouille) e il gioco (Toy Story) come nessun altro.

Il più delle volte i loro film si occupano di come condurre vite significative, ma con Soul è la prima volta che rendono esplicito questo concetto. Diretto da Pete Docter e co-diretto e co-scritto da Kemp Powers, Soul riflette nientemeno che lo scopo dell’esistenza stessa. Non è così profondo come forse ci immaginavamo, ma nessun’altro studio oserebbe tentare quello che la Pixar ha fatto con Soul.

Soul Pixar

Il suo personaggio principale, Joe (Jamie Foxx), è afroamericano e i titoli di coda includono una lunga lista di “consulenti culturali” che hanno assicurato che ogni dettaglio della sua personalità e dell’ambiente circostante fosse accurato. Joe dirige una band sgangherata in una scuola media di New York particolarmente multiculturale, ma nonostante sia un uomo di mezza età crede ancora di poter farcela come pianista jazz. Sua madre fa la sarta (Phylicia Rashad) e vuole che accetti l’offerta della scuola di un lavoro a tempo pieno, ma proprio mentre sta per firmare sulla linea tratteggiata, un ex allievo (Questlove), ora batterista di una famosa sassofonista (Angela Bassett), lo invita a prendere il posto del loro pianista. L’audizione di successo di Joe è il momento migliore della sua vita. Sfortunatamente, potrebbe anche essere l’ultimo. In un adorabile set comico degno di Bugs Bunny, viene mostrato barcollante di gioia per le strade della città, ignaro del fatto che sta evitando per un pelo i mattoni che cadono, le bucce di banana sparse e gli autobus in corsa. E poi precipita in un tombino e, infine, nell’aldilà.

Qui ne succedono di ogni e si apre il mondo di Pixar su quello che è il dopo vita: un luogo meraviglioso e pieno di sorprese.

E una lezione importante da imparare: la differenza tra l’ambizione e la vocazione. Una scuola di vita che impariamo da piccoli o forse cerchiamo di capire per tutta la vita finché non ci interessa più. Lo vediamo in 22, un’anima sperduta che non vuole andare a vivere nel mondo “fisico” perché non ha senso.

In Soul restano irrisolte molte domande, sicuramente. Perché a un certo punto le trame narrative che restano aperte sono molte. Ma è anche vero che più che per la storia, Soul va visto come un viaggio filosofico che apre agli adulti concetti sepolti, e ai bambini interessanti spunti di riflessione. È destinato, in poche parole, ad essere citato insieme ad Inside Out anche nei saggi accademici su ciò che fa funzionare un essere umano. Il suo obiettivo non è la storia, il suo obiettivo è chiederci quale sia la chiave per leggere la vita. Tutto a ritmo di jazz.

Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone

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