Nel 2000, un regista di nome Christopher Nolan ha debuttato in America con Memento, un thriller emotivamente brutale su un uomo di nome Leonard che non è in grado di conservare un ricordo per più di cinque minuti. La cosa più sorprendente è il modo in cui Nolan riesce a tenere attaccato lo spettatore alla mente di Leonard, in modo che anche lui si aggrappi avidamente a qualsiasi boccone di informazione riceve e guardi gli altri personaggi con sospetto. Ora, 21 anni dopo, un altro nuovo regista, questa volta un drammaturgo francese di nome Florian Zeller, sta usando una tecnica simile con un effetto ugualmente sorprendente. L’eroe di The Father è un ottantenne chiamato Anthony e interpretato da Anthony Hopkins, e non ha né capelli biondo ossigenato né tatuaggi visibili, ma anche lui si dibatte disperatamente, incapace di fidarsi della propria mente. E adottando la prospettiva di un uomo con demenza avanzata, Zeller crea un film molto efficace, una sorta di horror con un cuore enorme.
The Father: il commento di Antonio Gazzanti Pugliese
Anthony (Anthony Hopkins) si perde in un labirinto mentale. I vari fili della sua vita continuano a scivolargli tra le dita. Dov’è il suo orologio? Sua figlia è sposata? Si trasferisce in Francia? Cosa è successo all’altra sua figlia? È mattina o sera? Dov’è quel dannato orologio? Ma il labirinto è anche fisico: mentre attraversa l’appartamento londinese in cui è sistemato, i mobili continuano a spostarsi, i dipinti svaniscono dalle pareti, un pianoforte si trasforma in un mobile bar. Zeller, adattando la propria opera teatrale, si dimostra capace di sovvertire il linguaggio filmico in un effetto da capogiro. Non è sempre chiaro dove sia esattamente Anthony (o quando).

Come Leonard in Memento, Anthony è alla ricerca di indizi sulla propria identità. L’interpretazione di Hopkins è potente, una delle migliori dell’attore, e attraversa una vasta gamma di emozioni in 97 minuti, nessuna delle quali sembra falsa. A un certo punto il personaggio è malizioso e affascinante, mentre offre un whisky alla sua nuova badante e si lancia in un frenetico tip-tap. In un altro, il suo umore si annerisce, diventando orribilmente crudele. Ma soprattutto, è perso, disarmato, alla disperata ricerca di controllo.
Sorprendente, commovente, ma anche avvincente e audace. The Father stravolge le convenzioni della narrazione per abbinarla ai terribili effetti di una malattia che distrugge la storia di chi ne è affetto. Non offre risposte facili: non ce ne sono. Ma c’è molta compassione, sia per il personaggio che per sua figlia, interpretata con potere discreto da Olivia Colman, giusto il tempo necessario per chiarire quanto anche lei stia lottando.
“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno“, urla Anthony a un certo punto. Ma The Father chiarisce che in questa situazione, tutto ciò che possiamo fare, è tenerci stretti l’un l’altro finché possiamo.